In quel tempo, mentre saliva a Gerusalemme, Gesù prese in disparte i dodici discepoli e lungo il cammino disse loro: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché venga deriso e flagellato e crocifisso, e il terzo giorno risorgerà». Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dòminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
Riflessione a cura di Don Pasquale Somma:
Gesù ha appena annunciato la sua morte per la terza volta, quando Matteo nel suo Vangelo narra l’episodio della moglie di Zebedèo, che chiede un posto per i suoi due figli. Gesù non solo risponde alla donna, ma espone anche una legge nuova: chi tra i discepoli, anche nella futura Chiesa, vuole essere il più grande, deve essere il servo di tutti.
La madre dei figli di Zebedèo arriva a prostrarsi ai piedi di Gesù per assicurare loro un posto “di alto rango”. Quantomeno non ha sbagliato a scegliere la persona che davvero poteva assicurare ai suoi figli un buon posto per l’eternità! Ma quante mamme e papà si prostrano davanti alle persone sbagliate? Quanti, per avere delle gratificazioni nel lavoro, per salire di livello, o per non perdere il posto di lavoro, si buttano ai piedi di chiunque? Potremmo interrogarci su come ci comporteremmo in una simile situazione di necessità. Cosa saremmo disposti a fare, noi, per un “posto sicuro”? Gesù spiega alla madre dei due discepoli che non si tratta di un “posto”, ma di un vero lavoro, uno di quelli difficili da fare, perché si tratta di mettere in gioco la propria vita, di soffrire. La smania di un “posto” è così grande che i due, all’inizio, si dichiarano entusiasticamente capaci. Ma Gesù aveva appena detto che cosa lo attendeva, aveva appena annunciato la sua morte. E così chiude anche il brano: “dare la vita in riscatto”. Ne sono capaci i due figli di Zebedèo? E ne siamo capaci noi? Gesù non ci chiede di candidarci per il posto di martire, ma di capovolgere la nostra mentalità. Ci chiede di abbandonare le ambizioni prettamente umane. Ci chiede di non insegnare ai più piccoli che bisogna “sgomitare” per andare avanti, farsi notare, eccellere. Di non pensare che ogni mezzo sia lecito per raggiungere la propria personale ambizione. Cambiando mentalità, non perderemo nulla. Forse non saremo in prima fila. Ma saremo felici. Più di quanto lo possiamo essere in quei pochi minuti di gloria che ci può regalare il mondo. La felicità non è data dalla notorietà, né dal denaro. La vera gioia viene dal Signore. Non solo nella prossima vita, ma anche qui e oggi, se siamo consapevoli di seguire il comandamento del Signore.