In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete». Allora alcuni dei suoi discepoli dissero tra loro: «Che cos’è questo che ci dice: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”, e: “Io me ne vado al Padre”?». Dicevano perciò: «Che cos’è questo “un poco”, di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire». Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: «State indagando tra voi perché ho detto: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”? In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia».
A cura di Don Pasquale Somma:
Gesù prende le distanze dal mondo che si oppone a Dio e ne fa volentieri a meno. La conseguenza per i discepoli è molto precisa: essi devono separarsi dal mondo, soprattutto da quel mondo che è presente in loro – guai dimenticarlo – perché nessuno deve illudersi o presumere di esserne immune! Il poco che Gesù mette in evidenza non va confuso con la pochezza o la miseria umana, poiché c’è un poco che conduce alla pusillanimità, virtù che è ben distinta dall’umiltà, mentre c’è invece un poco che fa crescere e che si vive come premura e affabilità verso tutto quello che ci è stato affidato. Tutto è poco se paragonato a Dio. Ciò che fa la differenza è il modo con cui si accoglie: come possesso, diritto, da prendere e consumare a proprio criterio, o come dono per cui rendere continuamente grazie. Rispetto a Gesù, anche la Messa è solo un piccolo segno, un poco; tuttavia, si può stare sull’altare o fra i banchi di chiesa con la sciatteria dell’abitudine, si può semplicemente “recitare” le formule liturgiche e rispondere a esse con la sola voce, oppure celebrare il mistero dell’Eucaristia, rinnovando la propria offerta al Padre nell’unico e irripetibile sacrificio del Cristo. Questo poco vale e si estende a tutti i sacramenti, alla Chiesa, ai ministeri ecclesiali, alle istituzioni ecclesiali, in breve, a tutto ciò che non è Dio, ma che proviene da Lui. La scala di Giacobbe (Gen 28) è un sogno per il Patriarca, per noi è la realtà quotidiana: non si confonde la casa di Dio con Dio, la porta del Cielo con il Cielo e, come discepoli, dobbiamo percorrere nei due sensi la gradinata che ci congiunge a Lui, per tornare da ogni cosa a Dio e ritrovare Dio in ogni cosa.
Spesso abbiamo l’impressione (e anche più di un’impressione) che il Signore sia lontano, o distratto. Magari abbiamo fatto un percorso di conversione, abbiamo scoperto la bellezza della fede, iniziato l’avventura della vita interiore salvo poi scoprire, dopo qualche difficoltà, che non tutto è semplice, che non tutto è radioso, e l’uomo vecchio che è dentro di noi torna a farsi sentire con prepotenza… Il rischio di lasciarsi andare allo scoramento è forte ed alcuni abbandonano la strada. Come il famoso seme della parabola, gli affanni della vita e l’incostanza soffocano la pianticella appena germinata… Che la nostra vita spirituale sia fatta di momenti splendidi e di rallentamenti è del tutto normale: non dobbiamo viverli come dei fallimenti! L’unico modo che abbiamo di vivere e di credere è procedere per tappe, alternando progressi a rallentamenti, a momenti veri e propri di stallo. Gesù, oggi, ci sprona a non cedere, a tenere duro, a non mollare. Se anche ci sono degli inevitabili momenti di tristezza (anche nel discepolo più motivato e santo!), dobbiamo fissare il nostro sguardo sulla gioia che ci sarà data quando, alla fine del percorso, vedremo Dio faccia a faccia.