Giovanni 16,20-23a

Pubblicato giorno 6 maggio 2016 - In home page, Riflessioni al Vangelo

Giovanni 16,20-23a

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia. La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia. Quel giorno non mi domanderete più nulla».

A cura di Don Pasquale Somma:

Le sofferenze della Chiesa sono di due tipi: dolore e tristezza. Il dolore, come il parto, si prova all’inizio dell’evangelizzazione, quando si incontrano le resistenze del cuore umano, che rifiuta di aprirsi e di accogliere la gloria della Croce. La tristezza è più complessa e lavora in profondità, prendendo forma nelle molteplici e sottili resistenze al raggiungimento della perfezione in Cristo, presenti anche nell’intimo di colui che annuncia. L’inizio comunica un certo entusiasmo, che sostiene nelle ineliminabili difficoltà, poi viene la quotidianità, la perseveranza, la manifestazione delle fragilità umane e allora sopraggiunge la tristezza.
Dal punto di vista antropologico, il passaggio da donna a madre è molto complesso, il più emblematico nel rappresentare la maturazione umana. Grandissimo è il cambiamento che avviene quando la donna diviene madre. Gesù prende questa immagine per rendere al vivo il quadro della nostra continua trasformazione, della conversione di ogni ora. Anche alla comunità dei discepoli è richiesto il passaggio da donna a madre. Cosa vuol dire? La Chiesa, come Maria, è chiamata a esercitare una missione materna, in due sensi analoghi, nei confronti di Gesù e dei nuovi credenti. Innanzitutto, la Chiesa genera Cristo nella storia, attraverso la Parola e i Sacramenti, cioè rende viva e attuale la sua Persona, la sua Presenza. Però, non come se Egli fosse un prodotto della Chiesa, un “qualcosa”, un argomento o un possesso. Cristo, benché generato dalla Chiesa, sarà sempre oltre e al di là di essa, ed essa ne dovrà sempre rispettare il primato, come discepola e serva, secondo l’icona di Maria. Ciò vale analogamente per la generazione dei nuovi credenti, da parte della Chiesa-Madre. Essi non dovranno mai essere un numero, una quantità, come non dovrebbero esserlo i figli per la madre. Ciascun credente ha bisogno e diritto di essere accolto e rispettato nella sua singolarità, corretto fraternamente, ammonito con franchezza nella verità, ricondotto all’ovile dal pastore che conosce le sue pecore ciascuna per nome. Dio è anche madre, ma non nel senso di un’alternativa alla severità paterna, bensì quale immagine di chi, come la madre, esprime la totalità del rapporto da persona a persona e assicura a ciascuno l’accoglienza nella famiglia radunata da Gesù.