In quel tempo, Gesù disse ai Giudei:
«Se fossi io a testimoniare di me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera. C’è un altro che dà testimonianza di me, e so che la testimonianza che egli dà di me è vera.
Voi avete inviato dei messaggeri a Giovanni ed egli ha dato testimonianza alla verità. Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché siate salvati. Egli era la lampada che arde e risplende, e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce.
Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato.
E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato.
Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me. Ma voi non volete venire a me per avere vita.
Io non ricevo gloria dagli uomini. Ma vi conosco: non avete in voi l’amore di Dio. Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi accogliete; se un altro venisse nel proprio nome, lo accogliereste. E come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?
Non crediate che sarò io ad accusarvi davanti al Padre; vi è già chi vi accusa: Mosè, nel quale riponete la vostra speranza. Se infatti credeste a Mosè, credereste anche a me; perché egli ha scritto di me. Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?».
Riflessione a cura di Don Pasquale Somma :
La risposta di Gesù nella polemica sulla guarigione del paralitico è dettata da un motivo giuridico; infatti, poiché la testimonianza propria non è valida, né in ambiente giudaico, né in quello ellenistico, il Maestro ne adduce tre: quella del Battista, quella delle opere e quella delle Scritture. Nel loro insieme costituiscono la testimonianza del Padre a favore del Figlio e la sua legittimazione come Inviato. Giovanni ha dato testimonianza alla verità, proclamando la rivelazione che ha ricevuto come inviato di Dio. Giovanni era solo un uomo, mentre Gesù può contare su un’altra, più grande, costituita dalle opere che il Padre gli ha dato da portare a compimento nei segni e nell’opera suprema della morte-glorificazione. Gesù agisce in perfetta sintonia con il Padre che lo ha mandato.
Le testimonianze su Gesù non avevano valore solo per i suoi contemporanei; esse sono attestazioni sempre valide e preziose anche per noi. Il primo testimone è Giovanni Battista. Egli, inviato da Dio come “testimone della luce”, perché tutti credessero per mezzo di lui, riconobbe in Gesù “l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”. L’altra testimonianza è offerta dalle Scritture, che attestano la conformità al disegno di Dio di tutta la vita terrena di Gesù e, in particolare, della sua passione e risurrezione, umanamente impossibili da prevedere. La testimonianza più importante è quella del Padre: “le opere che il Padre mi ha dato da compiere, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato”. È grazie all’unione del Padre con il Figlio nelle opere che si rivela veramente la filiazione divina di Gesù. Il Padre dà le sue opere al Figlio perché egli le compia; e Gesù, compiendo queste opere, si manifesta come Figlio di Dio. I Giudei non hanno mai ascoltato la voce del Padre, il suo volto non è stato mai oggetto di visione, né la sua parola rimane in loro, perché non credono a colui che egli ha mandato. Rifiutando la fede in colui che egli ha mandato, rifiutano anche la parola del Padre. Lo stesso “scrutare le Scritture” diventa vano, perché esse, come “parola di Dio” rendono testimonianza a Gesù. Tutto questo atteggiamento di rifiuto è mancanza, insieme, di fede e di buona volontà. Il motivo ultimo sta nella ricerca di sé, di una sicurezza fondata sull’onore, che si riceve dagli altri. La costatazione di Gesù è estremamente grave: «Non avete in voi l’amore di Dio», nel duplice senso di “non amate Dio” e di mancanza dell’amore di Dio come dono e principio dinamico della vita nuova.