In quel tempo, Gesù disse ai farisei e agli scribi questa parabola:
«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione».
A cura di Don Pasquale Somma:
La Palestina, ricca di pascoli, bene si prestava ai tempi di Gesù per rilevare l’amore del pastore per il proprio gregge. Proviene dalla vita reale il gesto di mettersi sulle spalle la pecora smarrita e ritrovata che, quando è disorientata e si allontana dal gregge, poi corre di qua e di là senza meta, finché si accascia a terra e non si rialza più. Occorre allora cercarla e, trovata, mettersela sulle spalle e riportarla all’ovile: è quanto fa anche Gesù, con l’uomo che si smarrisce nel peccato ed ha bisogno di una mano misericordiosa per rialzarsi: sulle spalle del Buon Pastore, la strada è sicura.
Gesù si presenta come il «buon pastore» non solo del popolo di Israele, ma di tutti gli uomini. Per questo, la sua vita – come si legge nell’Esortazione apostolica Pastores dabo vobis – diventa «ininterrotta manifestazione, anzi quotidiana realizzazione della sua carità pastorale. Sente compassione delle folle, perché sono stanche e sfinite, come pecore senza pastore, cerca le disperse e fa festa per il loro ritrovamento, le raccoglie e le difende, le conosce e le chiama a una a una, le conduce ai pascoli erbosi e alle acque tranquille, per loro imbandisce una mensa, nutrendole con la sua stessa vita» (cfr. n. 22). Gesù, da luogo d’incontro con Dio, – «chi vede me vede il Padre» (Gv 14,9) – diventa lui stesso relazione interpersonale, nella quale il peccatore può sperimentare l’amore infinito del Padre. Nell’opera della salvezza il peccato non è né il protagonista, né il vincitore. Accanto al mysterium iniquitatis, vi è il mysterium pietatis, ossia il mistero dell’amore di Dio che non cessa di offrire a tutti quelli che si ravvedono il suo totale perdono; solo per chi non lo vuole si compie la giustizia divina. Il Signore non ha piacere della morte del malvagio, ma vuole che egli desista dalla sua cattiva condotta e viva (cfr. Ez 18,23). Infatti, «è proprio di Dio usare misericordia e specialmente in questo si manifesta la sua onnipotenza» (san Tommaso d’Aquino). La Misericordia è il volto amante di Dio. Di questo amore, tenero e infinito, Gesù è il rivelatore e il “Cuore” ne è la rappresentazione simbolica. «Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza. Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro» (Papa Francesco).