In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo. Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
A cura di Don Pasquale Somma:
Il Regno di Dio non è questione di posti o di sistemazioni. Esso è strutturato sull’accoglienza, a cominciare da quella verso Gesù, per tradursi poi nella reciprocità tra fratelli. L’ideale del discepolo non è “rimanere bambino”, ma di crescere senza per questo perdere i connotati interiori del bambino, che da parte sua si lascia prendere, porre, abbracciare dalle mani di Gesù, proprio come Lui accetta di venire consegnato nelle mani degli uomini.
Nella sosta romana ho avuto la possibilità di prendermi cura del mio “bambino” nell’esperienza della scuola dell’infanzia e del master in Analisi transazionale. Il nostro “bambino” è il nostro mondo emotivo la parte più fragile di noi.
Gesù dice essere ultimo, che è ben diverso dal farsi ultimo o stare dalla parte degli ultimi; come, per esempio, una cosa è prendersi cura di un disabile, anche per tutta la vita, tutt’altra essere disabile dalla nascita. È la differenza che esiste fra una scelta, anche difficilissima, e la tragedia, che è inevitabile, inaccettabile. Qui Gesù non pone in evidenza atteggiamenti caritativi, bensì penitenziali, fondamento vero della carità. Non è questione di primo o ultimo posto, ma dell’unico posto, quello di stare dietro a Gesù. L’assuefazione al compromesso, l’abitudine all’autosufficienza, la disinvoltura nella disobbedienza verso Dio, ci danno solo un’illusione di primato, di potenza, e invece ci mettono in un posto veramente ultimo, al traino di passioni, di pensieri parassiti, di pretese. Il peccato, nel senso paolino di potenza antidivina in noi, è davvero sintesi lacerante di scelta e tragedia. La scelta è nostra, perché siamo noi a decidere dove andare prescindendo dalla parola di Gesù; ma la tragedia ci assale, perché le conseguenze della scelta di autoaffermazione sono sempre imprevedibili, pesantissime. La distanza dalla parola di Gesù pone in un luogo di disordine e di non-senso. Disordine, perché si perdono i punti di riferimento della vita; non-senso, perché si perde il gusto di una continuità esistenziale, qui ed ora, per me, fra la vicenda di Gesù culminata nella Risurrezione e il percorso della mia vita, così da far prevalere un sentimento puramente soggettivo e non l’azione dello Spirito Santo. Nel perdono, di cui tanto si parla – molte volte a sproposito –, Dio agisce proprio nel farci comprendere la profondità di tenebra in noi, certo non resa meno spessa dal perbenismo o dalla buona fede, per accogliere e soprattutto accettare un faticoso percorso di recupero, fino all’affidamento incondizionato a Lui.