Matteo 11,25-30
In quel tempo, Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
A cura di Don Pasquale Somma:
Gesù rivela ai semplici, agli umili, a chi ha il cuore aperto all’ascolto della Parola senza precomprensioni, la sua più profonda identità e il segreto del rapporto intimo di comunione che lo lega al Padre nello Spirito Santo. Un mistero che rimane nascosto, inaccessibile, oscuro a chi confida solo nell’intelligenza del mondo, nella sapienza che governa questa terra.
Il Vangelo di oggi associa alla figura della grande mistica Caterina da Siena la piccolezza spirituale dei discepoli, e ci consegna il giubilo di Gesù che esalta la bontà del Padre per aver rivelato proprio ai piccoli i misteri insondabili del suo amore eterno. Questi piccoli, in ebraico anawim, sono coloro che vivono una relazione di sottomissione, che subiscono la prepotenza da parte di un padrone, o di un despota. Per la bibbia, questa condizione rappresenta il motivo della vera povertà; per questa ragione, i piccoli possono presentarsi al cospetto di Dio con piena fiducia. Gesù si rivolge al Padre chiamandolo Abbà, cioè papà, e ci insegna la via della confidenza filiale dalla quale spesso la nostra paura ci fa diffidare. «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo»: l’eterno circolo dell’amore trinitario è rivelato da queste parole intrise d’intimità profonda. Una familiarità che introduce nella piena comunione esistenziale. La piccolezza interiore è la condizione privilegiata per un ascolto docile ed accogliente nei confronti di Cristo, Sapienza incarnata di Dio. Il superbo, invece, accecato dalla propria autosufficienza e dal dominio intellettuale che essa gli procura, non è capace di porsi in ascolto, di farsi discepolo, per essere trasformato dall’amore. Il Figlio sollecita i credenti a non lasciarsi sopraffare dalle fatiche quotidiane, ma a diventare portatori del suo giogo leggero: «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita». Un peso soave come ogni impegno assunto per amore, con l’umiltà di cuore che il Maestro insegna. Il giogo si porta in due: lui con noi!