Matteo 6,19-23
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassìnano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore. La lampada del corpo è l’occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso; ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!».
A cura di Don Pasquale Somma:
Nella storia d’Israele, la ricchezza era un segno della benedizione di Dio, mentre la povertà era considerata una punizione divina. Per Gesù, le ricchezze sono il maggior rischio di dannazione in cui l’uomo possa incorrere, in quanto esse hanno l’irresistibile potere di attrarre il cuore dell’uomo tutto verso ciò che non è Dio.
È proprio ricco chi possiede molti beni di questa terra e ad essi si attacca morbosamente? Le cose che sembrano soddisfare chi le possiede, in realtà, sono un tormento: chi ha molto, più brama e più teme che il suo tesoro si sgretoli.
Il giudizio di Gesù sui beni materiali è chiaro: pur essendo le cose buone in se stesse, sono tuttavia un grave pericolo per l’uomo. L’attaccamento morboso alla ricchezza spegne la carità verso Dio e verso il prossimo; non solo schiavizza, ma rende incapace l’uomo di godere i beni della vita. L’avaro è un uomo triste, duro di cuore e idolatra. «Chiunque di voi che non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo» (Lc 14,33). La rinuncia sta anche nella capacità di padroneggiare la ricchezza: il denaro è un buon servo, ma un cattivo padrone. È ricco chi vive la dimensione del dono, cioè gode di quel che onestamente possiede ed è pronto a condividerlo con chi è nel bisogno. Le virtù e le opere buone sono la vera ricchezza, quel “tesoro” che né ruggine, né tignola possono struggere e i ladri non possono rubare.