Matteo 9,9-13
In quel tempo, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».
A cura di Don Pasquale Somma:
Le prime persone che Gesù ha chiamato sono quattro pescatori, tutti giudei; con la chiamata di un pubblicano tra gli “eletti”, ora ci sconvolge. La sua predilezione non è soggetta a convenzioni, ambienti privilegiati o caste. Il Cristo passa, è in cammino sulla strada polverosa della storia umana, vede l’uomo seduto al banco delle imposte, tra i suoi affanni, tutto intento a calcolare, a decidere per tentare di far quadrare i suoi conti, sopraffatto da doveri e convenienze, tra apparenze di legalità e miseria, tra aspirazioni e ciò che lo costringe a star seduto dietro al banco delle imposte. È Gesù che lo vede, lo scorge oltre il banco, vede l’uomo e il desiderio di dare un senso al suo essere, al suo stare. Lo chiama a seguirlo, ma nel farlo è Lui che si mette a sedere con Matteo a casa sua, insieme ad altri pubblicani; invita a seguirlo, ma al contempo è Lui che segue Matteo per vedere la sua condizione. È solo con Gesù che Matteo (nome che significa “Dono di Dio”) si riscopre e realizza il significato profondo del suo nome, del suo essere. Solo ora Matteo si scopre capace di lasciare tutto ciò che fino ad allora si era illuso di aver realizzato e di possedere. Segue il Cristo, perché si scopre amato per ciò che è veramente, e non condannato “dal tavolo delle imposte”, che ben conosce – e perciò lo abbandona. Scopre ed accoglie in Gesù la misericordia del Padre che per lui è diventata un sedere alla tavola non dell’ostentazione e del possesso, ma della condivisione e della gioia. Il mondo non gli appare più come un “tavolo delle imposte” ma come la “tavola dell’opportunità nuova”: il suo essere seduto è lo stare nel mondo non per far quadrare convenienze e iniquità ma per far risplendere il dono di Dio, la sua misericordia.