Mc 2, 23-28

Pubblicato giorno 19 gennaio 2016 - In home page, Riflessioni al Vangelo

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, di sabato Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli, mentre camminavano, si misero a cogliere le spighe.
I farisei gli dicevano: «Guarda! Perché fanno in giorno di sabato quello che non è lecito?». Ed egli rispose loro: «Non avete mai letto quello che fece Davide quando si trovò nel bisogno e lui e i suoi compagni ebbero fame? Sotto il sommo sacerdote Abiatàr, entrò nella casa di Dio e mangiò i pani dell’offerta, che non è lecito mangiare se non ai sacerdoti, e ne diede anche ai suoi compagni!».
E diceva loro: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato! Perciò il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato»
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Riflessione a cura di Don Pasquale Somma:

Fin dal tempo dell’esilio in Babilonia i Giudei osservavano la legge di shabbat (sabato). Questa osservanza secolare divenne per essi un segno forte d’identità. Un sabato i discepoli, insieme a Gesù, attraversano i campi di grano e si aprono la strada strappando spighe. Mt 12,1 riferisce che il motivo è dato dalla fame. E i farisei criticano i discepoli, appellandosi alla legge di shabbat in Es 20,8-11. Gesù risponde appellandosi alle Scritture (1Sam 21,2-7).
Per i Giudei, il riposo del settimo giorno (shabbat), oltre a rimarcare la loro identità, è anche memoria e celebrazione della liberazione dalla schiavitù, dal lavoro oppressivo in Egitto e dalla logica della produttività (Dt 5,15). Shabbat dà al lavoro il senso ultimo e perciò lo redime. Il Dio Creatore, che lavora e riposa, dona una “architettura al tempo”, con la benedizione e la consacrazione del settimo giorno e con l’alternanza fra lavoro e riposo. Grazie al settimo giorno tacciono le cose, l’avere e il fare, affinché l’uomo possa incontrare il “mistero” che lo avvolge. È il vertice della nuzialità dell’uomo con il tempo, ritmato da lavoro e riposo; dell’uomo con se stesso e la sua famiglia, della creatura con il Creatore. Il termine shabbat, in ebraico, è femminile e indica la sposa, che Dio e la comunità accolgono con gioia la sera del venerdì con il canto: «Vieni, Amico mio, alla presenza della fidanzata; accogliamo il volto del sabato». Per noi cristiani, il settimo giorno, la domenica, cioè dies Domini, è il giorno delle nozze con la vita che rinasce; è il giorno del “riscatto” dal lavoro nel riposo e nella festa; è il giorno della comunione della comunità che celebra le nozze con il suo Signore. Se il lavoro non porta alla preghiera e al riposo festoso nell’in sé dell’uomo e della famiglia, raggiungiamo non il fine ma la fine del senso della vita. I Giudei al tempo di Gesù vivevano un’osservanza ossessiva del sabato, fino a ignorare i deboli e gli ammalati, omettendo il soccorso ai bisognosi e perfino ai propri genitori anziani (Mc 7,9-13). Gesù afferma ripetutamente che la legge è fatta perché l’uomo viva meglio, viva una vita più “umana” e non perché sia schiacciato nella sua dignità. E svela il contenuto autentico della legge, affermando che il sabato della vita è più forte della quotidianità di morte che affama e getta nel bisogno le persone.